Ti trovi in: Stage, tesi ed esperimenti > Tesi: costruzione ambiente virtuale Pubblicato il 17 Novembre 2021 in

In questa proposta di tesi, l’obiettivo è lo sviluppo di un ambiente virtuale per la validazione di un paradigma di manipolazione in ambito psicologico.
In particolare, l’idea è quella di immergere il partecipante in una simulazione lavorativa simulando una catena di montaggio, cercando di indurre un processo di auto-oggettivazione in ambito lavorativo.

Obiettivi

Sviluppare e testare un ambiente VR che simula una catena di montaggio.
L’ambiente sarà utilizzato per replicare alcuni studi precedentemente condotti attraverso scenari immaginari che suggeriscono alcune conseguenze psicologiche negative del lavoro ripetitivo e parcellizzato (rispetto al lavoro che richiede autonomia), offrendo così una maggiore validità ecologica e un più alto livello di immersione dei partecipanti.

Sono previste due 2 condizioni sperimentali (due ambienti VR simili ma con interazioni leggermente differenti):

  • Nella prima condizione, ai partecipanti verrà chiesto di assemblare un oggetto intero (ad esempio una sedia di legno). Durante il processo di assemblaggio i partecipanti potranno scegliere liberamente i passi da seguire.
  • Nella seconda condizione, ai partecipanti verrà chiesto di assemblare solo una parte dello stesso oggetto, ripetutamente, come in una linea di produzione (ad esempio assemblando per 30 ripetizioni una gamba della sedia allo schienale).

Scarica il proposal del progetto

Requisiti

  • Conoscenza dello sviluppo di ambienti VR con Unity
  • Sviluppo per Oculus Quest 2
  • Conoscenza C#

 

Se sei interessato/a a partecipare a questo studio per la tua tesi, puoi contattare:

Dr.ssa Cristina Baldissarri – cristina.baldissarri@unimib.it

Dr. Gabbiadini Alessandro – alessandro.gabbiadini@unimib.it

 


Giustificazioni teoriche del progetto

L’auto-oggettivazione lavorativa consiste nel percepirsi come più simili a oggetti o strumenti piuttosto che esseri umani a causa di diverse esperienze lavorative. Diversi studi hanno mostrato che questa particolare auto-percezione può essere causata da diversi fattori, fra cui l’attività lavorativa svolta.
In particolare, sono state individuate tre caratteristiche lavorative definite oggettivanti: la ripetitività (lo svolgimento di attività che richiedono semplici gesti ripetuti innumerevoli volte, senza possibilità di esercitare abilità diversificate e complesse), la parcellizzazione (la frammentazione del lavoro in singoli passaggi che non permettono al lavoratore di seguire l’intero ciclo di produzione ma solo di seguire una singola fase senza completare il prodotto), l’eterodirezione (la direzione dei ritmi di lavoro dall’esterno, come ad esempio il ritmo di un nastro trasportatore o tempi di lavoro imposti).
Diversi studi sperimentali (Baldissarri, Andrighetto, Gabbiadini e Volpato 2017; Baldissarri, Gabbiadini, Andrighetto, e Volpato 2020) hanno infatti dimostrato che svolgere attività caratterizzate da queste tre dimensioni porta coloro che svolgono tale attività a auto-oggettivarsi.

Ad esempio, in un primo studio è stato chiesto a dei partecipanti volontari di svolgere un’attività manuale in laboratorio. L’attività durava venti minuti e richiedeva la costruzione di un oggetto tramite l’utilizzo di pezzetti di legno. A metà dei partecipanti, veniva detto che avrebbero dovuto assemblare delle finestrelle di legno, seguendo un prototipo, che poi sarebbero state assemblate successivamente, da altri, in una casetta (parcellizzazione). I partecipanti dovevano seguire il ritmo di un timer (etero-direzione): per terminare ogni finestrella avevano 12 secondi, se finivano prima dovevano aspettare il suono del timer per procedere con quella successiva. I partecipanti quindi ripetevano l’operazione 100 volte in 20 minuti (ripetitività). All’altra metà dei partecipanti invece veniva chiesto di costruire una intera casetta in 20 minuti. L’attività non era dunque ripetitiva, non era parcellizzata (riguardava la produzione di un intero oggetto), ed era auto-diretta (il ritmo di lavoro non era dettato dall’esterno).

In studi successivi, è stata creata una simulazione lavorativa al computer che prevedesse le stesse caratteristiche. Ai partecipanti veniva chiesto di svolgere il lavoro di venditore online di prodotti per computer per venti minuti. In una condizione, veniva detto loro che avrebbero seguito solo una singola parte del processo di vendita, la compilazione degli ordini, e per ogni ordine dovevano rispettare il tempo dettato da un timer (attività ripetitiva, parcellizzata e eterodiretta). Nell’altra condizione, i partecipanti dovevano seguire l’intero ciclo di vendita, dalla risposta alle richieste di informazioni da parte dei clienti alla gestione della consegna degli ordini, svolgendo quindi diverse attività e seguendo il proprio ritmo di lavoro (attività non ripetitiva, non parcellizzata, non eterodiretta).
In tutti questi studi sperimentali è stato dimostrato che svolgere compiti, sia manuali sia al computer, oggettivanti (caratterizzati da ripetitività, parcellizzazione e eterodirezione) promuove l’auto-oggettivazione, ovvero porta il lavoratore a percepirsi come più simile a uno strumento piuttosto che a un essere umano e a attribuirsi meno stati e abilità mentali che solitamente definiscono la nostra umanità.

Tuttavia, le attività predisposte in questi studi, soprattutto le attività manuali, mancano di validità ecologica, in quanto è difficile ricreare all’interno di un laboratorio universitario un setting che riprenda le caratteristiche di un vero posto di lavoro, con ad esempio la possibilità di ricreare un nastro trasportatore e materiali di lavoro realistici. L’utilizzo della realtà virtuale potrebbe ampliare la validità di questi studi permettendo lo sviluppo di un ambiente immersivo in cui il partecipante possa sperimentare, seppure virtualmente, attività caratterizzate (vs. non caratterizzate) dalle condizioni oggettivanti sopra descritte in un setting lavorativo realistico.